La nuova idea di smart working: essere dipendenti di una multinazionale milanese ma lavorare tranquillamente dal sud, in “south working“. Da Milano a Napoli, Palermo, Bari e Reggio Calabria, sola andata, come effetto secondario del Covid-19. La sede di lavoro resta al nord ma col lavoro agile si può più o meno tranquillamente tornare nei propri paesi d’origine, spesso localizzati al sud, dove tanto per iniziare il costo della vita è decisamente minore rispetto alle grandi città del nord. Ma attenti al vecchio concetto di SUD. Cosa è il SUD? Ogni città è a SUD di un’altra città.

 
 

Per capirne di più abbiamo intervistato Mario Mirabile, che insieme a Elena Militello e ad una ventina di professionisti trentenni, hanno rivoluzionato il concetto dello smart working.

South Working: L’intervista

1. Chi sei?

 
 

Mi chiamo Mario Mirabile, sono palermitano e ho 26 anni. Da 8 anni vivo lontano dalla Sicilia. Quindi, per motivi di studio e lavoro mi sono recato prima a Bologna, poi in Spagna, in Messico e negli Stati Uniti. Adesso, insieme a Elena Militello e tanti altri amici dei Global Shapers – Palermo Hub, curo il progetto South Working, ponendo particolare attenzione nei confronti delle politiche urbane e sociali. A tal riguardo, cerco di analizzare criticamente le trasformazioni del settore immobiliare e delle cd. ‘platform real estates’ e le loro implicazioni in termini di diseguaglianze e sviluppo urbano.

2. Cos’è “South working”?

South Working – Lavorare dal Sud è un’iniziativa di Global Shapers – Palermo Hub volta a promuovere il lavoro dal Sud e, più in generale, da dove si desidera. L’obiettivo è quello di contrastare la “fuga dei cervelli”, per una maggiore qualità della vita dei lavoratori e nuovi modelli di organizzazione del lavoro per le aziende che coinvolgano il Sud (globale).

L’idea del progetto è che nel periodo post-COVID sarà possibile – per molti lavori che non richiedono una presenza fisica costante nella sede del datore di lavoro o del committente – immaginare ipotesi di contratti di lavoro permanentemente a distanza (possibilmente in lavoro agile, cd.  “smart working”), che permettano alle lavoratrici e ai lavoratori di lavorare dal luogo in cui preferiscono risiedere.

3. Com’è nato il progetto?

Il progetto nasce da un’intuizione di Elena Militello, anche lei palermitana, che, dopo essere tornata a Palermo dal Lussemburgo a causa del COVID-19, dove era abituata a svolgere il ruolo di ricercatrice (in forma presenziale), ha deciso di voler rimanere nella sua terra. Elena ha vissuto 10 anni fuori dalla Sicilia, e già da tempo desiderava tornare in Sicilia, ma sino ad ora le era stato difficile per mancanza di concrete possibilità lavorative. I mesi trascorsi lavorando a distanza dalla Sicilia, pur con tutte le difficoltà legate all’emergenza sanitaria, hanno mostrato che lavorare in ‘south working’, cioè lavorare in ‘smart working’ dal Sud, per alcune professioni, è possibile anche nel nostro Paese.

4. Ci racconti un po’ del team?

Il team è composto da ragazzi facenti parte dell’associazione Global Shapers – Palermo Hub, che si occupa di sviluppare progetti di innovazione sociale e sviluppo sostenibile.

Sulla community Global Shapers, con sedi in 425 città in 148 Paesi

 In particolare, il progetto è curato da:

  • Elena Militello, 27 anni, dottorato in Diritto e Scienze Umane (attualmente ho un contratto di ricerca all’Università del Lussemburgo);
  • Mario Mirabile, 26 anni, Scienze Politiche e Culture Globali (empowerment della comunità locale, analisi delle politiche e delle trasformazioni urbane);
  • Alessandro Kandiah, 28 anni, Analista di Politiche presso l’OCSE;
  • Martina Derito, 27 anni, Systemic and Graphic Designer
  • Emanuele De Pasquale, 21 anni, studente di Giurisprudenza
  • Antonio Campanile, 22 anni, studente di Giurisprudenza
  • Ruben Dublo, 24 anni, Neolaureato in Innovation Management

Inoltre, sin dalle origini del progetto, siamo sostenuti da altre/i ragazze e ragazzi tra i 25 e i 35 anni che hanno assunto il ruolo di advisor del progetto. Anche loro hanno esperienze di lavoro e studio di alto profilo al Nord o all’estero.

5. Quali sono gli obiettivi di South Working?

Con South Working vogliamo ripensare le dinamiche occupazionali, consentendo un ampliamento sostanziale dell’offerta lavorativa nel Mezzogiorno con prospettive non più vincolate allo spostamento fisico, ma integrando modalità di lavoro agile che possano soddisfare le necessità aziendali e alti standard di benessere del dipendente.

Per coloro in cerca di occupazione, si riscontra la necessità di nuovi stimoli e nuove esigenze che, abbinate a competenze digitali solide, possano tradursi in lavoro agile. Crediamo che questa possa essere una modalità capace di contribuire alla mitigazione degli effetti indesiderati derivanti dai flussi di ‘emigrazione forzata’ dal Sud al Nord, rilanciando, quindi, sia le prospettive di lavoro dal Sud Italia, quanto il tessuto economico locale.

Per i giovani lavoratori “emigrati” che si sono allontanati da casa per necessità o per trovare una soluzione lavorativa che potesse garantire migliori condizioni di vita, ma anche più semplicemente per i lavoratori che vogliano spostarsi altrove per vivere, vogliamo concretizzare la possibilità di ristabilire un ”work-life balance” sostenibile.

Le aziende potrebbero godere di considerevoli risparmi in termini di affitti e spese connesse alle necessità di convogliare in un unico luogo un numero considerevole di dipendenti. Esistono già studi di scienza dell’amministrazione che sottolineano i potenziali vantaggi del lavoro a distanza per obiettivi per il datore di lavoro, in termini di incremento di produttività, miglioramento delle competenze digitali dei lavoratori e della loro motivazione, riduzione degli straordinari e dei fenomeni di assenteismo (per le PA), ottimizzazione dei costi.

Quindi, South Working vuole ripensare il rapporto tra impresa e dipendente, tra territorio e comunità, tra il Nord e il Sud d’Italia, tra il Nord e il Sud d’Europa, per promuovere una crescita sostenibile e una maggiore coesione territoriale e sociale. Infatti, crediamo che “il Sud sia un concetto relativo. Siamo tutti il Sud di qualcun altro”.

6. Che difficoltà avete riscontrato? E come le avete superate?

In questa prima fase, ci stiamo occupando di raccogliere i dati ottenuti tramite il questionario, stiamo organizzando i primi incontri con le aziende remote-friendly che si stanno mostrando interessate al progetto. Una delle possibili difficoltà poteva essere quella legata all’elaborazione ed interpretazione dei dati ed è stata risolta coinvolgendo accademici e istituzioni che hanno dimostrato un particolare interesse nei confronti dell’iniziativa e che ci aiuteranno a comprendere meglio i risultati ottenuti, mettendo a nostra disposizione esperienza e capacità di interpretazione.

Mentre, per quanto riguarda i lavoratori, abbiamo promosso la creazione di una community, basata su principi democratici per una discussione aperta e rispettosa dell’altro. Tutti coloro che lo vorranno, potranno scrivere post, messaggi, commenti, ecc. e prendere parte al dibattito, contribuendo nel frattempo alla scrittura alla processo di strutturazione della governance progettuale, che si sta concretizzando anche attraverso la cd. “Carta del South Working”, che identifica valori e principi del ‘lavorare in smart working dal Sud’.

Infine, stiamo promuovendo la creazione di una rete di spazi di coworking (anche integrando quelle già esistenti) che i ‘south worker’ potranno sfruttare  per contravvenire a tutte quelle criticità (psicologiche, creative, sociali, ecc…) che causa l’isolamento fisico.

7. Come sta andando il progetto in termini di interazioni con gli utenti?

Centinaia di persone stanno dimostrando attivamente il desiderio di promuovere l’iniziativa, anche impegnandosi personalmente. Oltre 1.000 persone hanno risposto al nostro questionario, confermando l’ipotesi di un interesse nei confronti di questa forma di organizzazione del lavoro.

Il 26 maggio abbiamo aperto la pagina su Facebook e soltanto la scorsa settimana abbiamo avuto oltre 4.400 interazioni con la nostra comunità.

8. Quali aspettative per il futuro?

In questa fase il progetto è volto alla creazione di una rete di soggetti interessati, tra cui: aziende, lavoratori e interlocutori pubblici e privati.

Nel breve termine desideriamo aumentare la consapevolezza delle possibilità che può offrire il ‘south working’ per tutti coloro che possono lavorare a distanza e dell’esistenza di contratti di lavoro strutturati per tale scopo. Lo stiamo facendo anche tramite una ricerca campionaria che possa chiarire in termini quali-quantitativi i volumi dei soggetti interessati e coinvolti. Lo strumento di tale ricerca è lo stesso questionario che sta già circolando con ampia diffusione.

Intendiamo darci una forma giuridica e lanciare un sito web dove raccogliere tutti i contributi dei potenziali interessati nelle modalità di una piattaforma di incontro.

Nel medio termine vogliamo stimolare una collaborazione strutturata tra i vari soggetti interessati e tra i vari livelli di governo per agevolare chi decide di

iniziare a lavorare in modalità “south working” (ad esempio, puntando al

miglioramento delle infrastrutture digitali necessarie a un lavoro sicuro ed

efficiente; partecipando a bandi comunali, regionali, nazionali ed europei per la

creazione di spazi di coworking e per il miglioramento di quelli esistenti, con l’obiettivo di promuovere la coesione sociale e territoriale, la partecipazione, la collaborazione intergenerazionale e la socialità come valori fondamentali).

Nel lungo periodo, immaginiamo di creare una maggiore flessibilità per una vasta gamma di lavoratrici e lavoratori, anche a livello intraeuropeo, che potranno

approfittare delle reti di soggetti già esistenti per una maggiore mobilità, una maggiore qualità della vita, una maggiore vicinanza alle proprie reti sociali, rammentando sempre che il Sud rimane un concetto relativo.

 

fonte: https://www.younipa.it/il-concetto-di-sud-e-relativo-south-working-tutti-ne-parlano-cose-lo-chiediamo-a-mario-mirabile/